L'Alimentazione nella Antica Roma

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KyrosMa
view post Posted on 18/6/2009, 20:25




Gran parte della popolazione non avendo a disposizione tutte le comodità di cui disponevano le famiglie dei ricchi, per mangiare doveva arrangiarsi e molto spesso i pasti venivano consumati per strada; molto diffuse erano le taverne caupona (non frequentate dai ricchi) e i venditori ambulanti, i quali vendevano un po' di tutto e per lo più olive, pesci in salamoia, pezzetti di carne arrosto, uccelli allo spiedo, polpi in umido, frutta, dolci e formaggio. Di solito il pasto medio di un povero era composto da un pezzo di pane e da piccoli pesci in salamoia accompagnati da un bicchiere d'acqua o di vino tra i più scadenti.

I momenti della giornata dediti al soddisfacimento dei bisogni della gola erano in linea di massima tre:

Il ientaculum o prima colazione, di mattina, a base di pane condito con vino e sale, oppure pane e miele, olive, latte, uva secca. Il sale lo fornivano i mercanti Fenici, che dagli empori della Sicilia trasportavano nel Lazio il bianco prodotto delle saline di Drepano (odierna Trapani).

Il prandium, simile ad una seconda colazione ; aveva luogo a mezzogiorno con cibi di facile digeribilità, caldi o freddi, come pesce, legumi, uova, frutta, accompagnati dal mulsum, bevanda di vino miscelato a miele

(Il ientaculum e il prandium di solito erano ridotti a un misero spuntino consumato in fretta e furia durante le varie attività che caratterizzavano la giornata lavorativa e la loro importanza era talmente minima che frequentemente uno dei due veniva addirittura saltato).

Il pasto più importante della giornata era la coena che iniziava verso l'ora ottava in inverno (circa le ore due del pomeriggio) e dopo l'ora nona in estate e aveva fine (a seconda delle proporzioni della cena) prima che fosse notte fonda; era in questa occasione che l'uomo romano poteva assaporare i vari piatti più o meno elaborati, comodamente disteso sul triclinae e conversare con i suoi convitati. Alla cena ci si recava di solito dopo aver fatto il bagno alle terme, dove, tra l'altro si aveva l'occasione di incontrare i propri conoscenti e invitarli alla propria mensa ( infatti le terme erano anche il ritrovo di molti sfaccendati che vi si recavano con la speranza di ricevere un invito da qualche amico).

Era costituita,in genere,dall' antipasto , cibi adatti a stimolare l’appetito : uova , olive, crostacei, tartufi, salse piccanti (liquamen oppure il garum= poltiglia di interiora di pesce esposta al sole per favorirne la fermentazione,un intruglio nauseabondo, a dire di molti, ma simile alla nostra pasta di acciughe a parere di altri

Il nutrimento essenziale era rappresentato dalla polenta di frumento (puls o pulmentus), dai legumi (fave, ceci, lenticchie), da farro e da ortaggi. Nella preparazione della polenta, veniva utilizzato principalmente il farro (far) che era in linea di massima il cereale più coltivato in quel periodo; più tardi vennero utilizzati anche miglio, panico, orzo, la farina di fave o di ceci. In ogni caso il prodotto più utilizzato restava il farro che poteva essere cotto sia in grani interi, sia macinato o frantumato nel mortaio e ridotto in polvere assumendo l'aspetto di ciò che noi chiamiamo farina (da far, farro). La polenta era preparata in un contenitore di terracotta detto pultarium dove al farro trattato si aggiungeva acqua, sale e un po di latte e a seconda dei gusti veniva arricchito con fave (puls fabata), cavoli, cipolle, formaggio (puls caseata) ed anche con alcuni pezzi di carne o di pesce; tutto ciò per darle un sapore più ricco, fino ad arrivare ad un vero e proprio miscuglio che conteneva un'infinità di ingredienti chiamato satura o satira ( da cui l'utilizzo moderno di queste due parole: saturazione e satira nel senso di battute o scherzi pesanti), che portava in breve tempo alla sazietà di chi lo mangiava. Con l'arrivo del pane sulle tavole, la polenta, che era stata l'alimento base per molto tempo, vide diminuire la sua importanza.
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Vi erano tre tipi di pane: il pane nero o pane dei poveri (panis plebeius o rusticus), il pane bianco anche se poco migliore del primo (panis secundarius) e il pane bianco di farina finissima o pane dei ricchi (panis candidus o mundus); il grano con cui era fatto arrivò ad avere un'importanza primaria, e i Romani arrivarono perfino alla promulgazione di leggi che regolavano la corretta distribuzione di questo prodotto ( cura annonae, lex Clodia, lex Sempronia frumentaria); furono organizzati speciali servizi di approvvigionamento, facendo arrivare il grano via mare da zone lontane, depositandolo in magazzini speciali per la successiva distribuzione alla popolazione sotto forma di grano in chicchi oppure come avvenne in un secondo momento, direttamente in pani già cotti.


Il pesce era un cibo molto diffuso, sia di fiume che di mare, sia quello allevato in grandi vivai (vivaria). I pesci utilizzati nella cucina romana erano di circa 150 specie, si andava da quelli delle tavole dei ricchi (orate, triglie, sogliole, dentici, trote ecc.) a quelli delle tavole dei poveri, più piccoli, di basso prezzo, di solito conservati in salamoia (menae, gerres ecc.). Molto richiesti erano anche aragoste, polpi, datteri, gamberi e ostriche. Le ostriche (ostrea) che Plinio definiva il "vanto delle mense opulente" erano molto ricercate infatti molti ricchi avevano allevamenti personali, in modo che questo prezioso alimento non mancasse mai alla loro mensa; per questo frutti di mare era stato fabbricato uno speciale cucchiaio a punta (cochler) con cui si aprivano e si vuotavano.
In apposite piscinae, per le famiglie dei patrizi, nuotavano le triglie, le murene, gli storioni, da pescare e da cuocere al momento giusto

Anche se nella mensa romana erano più frequenti piatti a base di pesce, anche la carne aveva una sua importanza. Le carni più utilizzate erano quelle di bue e di maiale, ma non era raro trovare anche carne di cervo, di asino selvatico (onager), di cinghiale e di ghiro; di quest'ultimo, molto ricercato nelle tavole dei ricchi, esistevano anche alcuni allevamenti (gliraria) e veniva servito di solito disossato e farcito.

Molto utilizzata anche la carne di uccelli . Oltre alle specie classiche ancora da noi utilizzate (tordi, piccioni ecc.), venivano cucinati anche alcuni trampolieri in gran parte importati dalle varie regioni dell'impero, come i fenicotteri (se ne gustava in modo particolare la lingua), le cicogne e le grù. Piatto molto ricercato era quello a base di carne di pavone e di fagiano. In quanto al pollo, di cui oggi facciamo molto uso, era considerato carne poco pregiata e la si trovava per lo più nell'alimentazione dei poveri.

La carne veniva cucinata in moltissimi modi: arrosto, in umido e ripiena, con salse di vario genere. Le uova , di cui si preferiva la chiara al tuorlo, erano come si è detto molto apprezzate come antipasto o consumate rapidamente durante la giornata (ientaculum e prandium). Dal latte si ricavavano formaggi freschi e secchi e dolci con aggiunta di miele, farina e frutta; il burro era poco utilizzato in cucina in quanto era usato come medicinale o come unguento per il corpo. Nelle opulente mense dei ricchi, in occasione di grandi banchetti i piatti di carne o di pesce, venivano preparati nei modi più fantasiosi; era in queste occasioni che i cuochi sfoderavano la loro arte culinaria, servendo in tavola piatti a base di carne camuffati in modo che avessero l'aspetto di uno stupendo pesce alla griglia o sotto forma di vere e proprie sculture a tema mitologico.

Non mancavano in tavola i cibi vegetali come la diffusissima lactuca (insalata verde), i legumi (lenticchie, piselli, ceci ,fave) , carote, rape, cipolle, zucche, carciofi e asparagi (più rari), cetrioli, erbe lassative come malve e bietole, menta e funghi (boleti) i quali erano molto ricercati. Le olive erano sempre presenti sia sulle tavole dei ricchi che su quelle dei poveri.

L’ olio di oliva , dominava sulle mense ; fu una delle maggiori componenti dell'alimentazione dei Romani, usato anche per la medicina e per l'illuminazione; se ne trovava di varie qualità: l'olio vergine di prima spremitura (oleum flos), l'olio di seconda qualità (oleum sequens) e l'olio comunemente usato (oleum cibarium).Il consumo medio di olio di un cittadino romano era di circa 2 litri in un mese

La frutta era costituita da mele (mala), pere (pira), ciliege (cerasa), susine (pruna), noci, mandorle (nux amygdala), castagne, uva (fresca e passa) e pesche. Dall'Armenia giungevano le albicocche che venivano utilizzate spesso spiaccicate, ricavandone una salsa che accompagnava molti piatti di carne. Dall'Africa arrivavano i datteri (dactyli). La frutta oltre che consumata fresca veniva utilizzata anche per ricavarne marmellate ed era un componente importante per la preparazione di dolci.

IL vino era raramente limpido e veniva di solito filtrato con un passino (colum), si beveva quasi sempre allungato con acqua calda o fredda (in inverno a volte anche con neve) in modo da ridurne la gradazione alcolica di solito da 15/16 a 5/6 gradi ,secondo la regola fissata di volta in volta da un commensale, designato all’inizio del convito come re del banchetto (rex convivii).
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Orazio, nella sesta satira del secondo libro, evocava con nostalgico rimpianto le improvvisate cene con gli amici nella sua rustica villetta di campagna, dove egli offriva ai commensali soltanto fave e fagioli conditi con lardo, e ciascun convitato, libero da pazze leggi, poteva bere quanto e quel che gli pareva, chi il vino puro, chi annacquato, mentre i temi della conversazione vertevano non sulla quantità di denaro posseduto da altri o sulle gambe di ballerini, ma su cose a cui ogni tanto bisogna pur pensare ed ignorarle è male: se sia la ricchezza a rendere felici gli uomini oppure la virtù, che cosa ci spinga a cercare l’amicizia, quale sia l’essenza del male e cosa si debba intendere per sommo bene.
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I più pregiati erano il Caecubum, il Massicum, il Falernum, il Calenum, provenienti per lo più dalla Campania. Dall’estero giungevano, fra gli altri, i vini di Chio, di Sicione, di Cipro. Si consumavano, inoltre, vinum rosatum (vino di rose) e vinum violatum (vino di viole). Era d’uso bere alla salute di un commensale tanti bicchieri quante erano le lettere del suo nome. Il consumo medio di vino in un anno è stato calcolato in 140 - 180 litri a persona, questo grande consumo si pensa che sia dovuto anche al grande apporto calorifero che dava alla dieta romana costituita in gran parte da cereali e vegetali.


Dopo le libagioni in onore dei Lari , di cui venivano esposte le venerate statuette,la fase conclusiva della cena era formata dal dessert (secundae mensae) composto di dulcia domestica (pasticcini fatti in casa), dactyli farsiles (datteri farciti), dulcia simulae (paste di semolino) e buccellae silinginae (bocconcini di segala). È noto a tutti che, in assenza dello zucchero, allora sconosciuto in occidente, si adoperava ovunque come dolcificante il miele prodotto dalle api.

Dopo aver mangiato, i convitati rimanevano di frequente seduti; quest’ultima parte del convito era detta comissatio, nome riservato peraltro anche ai banchetti o alle gozzoviglie fuori orario , che consisteva in una grande bevuta generale di vino sottoposta a regole ferree, durante la quale si assisteva anche a piccoli spettacoli, concerti o letture.

Nei primi secoli di Roma i pasti erano consumati in piedi; successivamente subentrò, nella sala da pranzo (triclinium), l’uso di un tavolo, ovale o rettangolare con attorno i lecti tricliniares( triclinia, dal greco Klinai, letto), specie di ampi sgabelli a forma di divano che permettevano ai commensali di consumare pasti stando comodamente sdraiati alla maniera asiatica. Se c’erano donne, anch’esse si sdraiavano in perfetta commistione con i propri vicini e la generale baldoria si protraeva in piena allegria fino a notte inoltrata.
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Sui triclinii venivano distesi materassi, coperte e cuscini. I convitati vi prendevano posto, tre per ogni letto, distesi su un fianco, uno accanto all'altro in modo da avere di fronte il tavolo; stavano appoggiati sul gomito sinistro e con il braccio destro portavano i cibi alla bocca. Il primo letto da sinistra verso destra era chiamato summus, il secondo, cioè quello centrale e d'onore era chiamato medium e l'ultimo , quello di destra era l'imus, il posto dove di solito era disteso il padrone di casa ; stessi nomi erano dati ai tre posti che componevano il letto: locus summus, locus medium e locus imus, fatta eccezione per il posto dell'ospite d'onore, chiamato locus consularis


Era la padrona di casa, in genere, ad allestire le vivande con l’aiuto delle schiave; in seguito, subentrarono i coqui (cuochi), che avevano alle loro indipendenze come aiutanti i culinarii (addetti alla cucina), i pistores (pasticcieri), i fornacarii (applicati ai fornelli). I cibi in genere erano portati a tavola tutti in una volta dentro un grande vassoio a comparti (ferculum). Non c’erano tovaglie a coprire la tavola; per asciugarsi le dita, che si immergevano in piccole brocche d’acqua, ciascuno portava con sé da casa una salvietta personale (mappa). Il vasellame era di coccio nelle case dei poveri; d’argento in quelle dei ricchi; le coppe (pocula), ornate di fregi, erano d’oro o di cristallo o di una tipica pietra opaca (murrina).

Per le grandi occasioni, quali feste nuziali o banchetti in onore di grandi personaggi, venivano affittati addirittura dei cuochi con tutta la loro squadra di cucina insieme a suonatori di flauto, artisti e acrobati per allietare gli ospiti durante il pranzo

Si ha notizia di banchetti di una sontuosità davvero straordinaria come quello che ebbe luogo nella lussuosa dimora del ricco Trimalcione, banchetto dettagliatamente descritto da Petronio Arbitro nel suo romanzo Satyricon (primo secolo dopo Cristo).Nelle opulente mense dei ricchi, in occasione di grandi banchetti i piatti di carne o di pesce, venivano preparati nei modi più fantasiosi; era in queste occasioni che i cuochi sfoderavano la loro arte culinaria, servendo in tavola piatti a base di carne camuffati in modo che avessero l'aspetto di uno stupendo pesce alla griglia o sotto forma di vere e proprie sculture a tema mitologico. Molto famosi sono i piatti serviti nell'ormai epica cena di Trimalcione, descritta da Petronio nel "Satiricon" e rievocata alcuni secoli dopo da Macrobio. Qui vengono serviti alcuni piatti dall'aspetto esageratamente fantasioso che però rispecchia il modo a volte sfacciato di alcuni ricchi romani, di ostentare la loro magnificenza; fra questi pi atti viene servita una lepre con le ali in modo da raffigurare Pegaso, il cavallo alato di Bellerofonte, e una scrofa di cinghiale ripiena di tordi vivi con tanto di cinghialini, fatti di pasta, nell'atto di succhiare alle mammelle della madre.
http://www.activitaly.it/subura/romaoggi/c...trimalcione.htm



Non erano conosciuti il pomodoro , la patata , il cacao , e neanche il tabacco essendo stati importati in Europa dopo la scoperta dell'America




Fonti

http://www.arkeomania.com/alimentazioneromani.html

http://www.archeoempoli.it/anticaroma1.htm

http://doc.studenti.it/appunti/storia/alim...ntica-roma.html

http://www.homolaicus.com/storia/antica/roma/cibus.htm

http://www.espr-archeologia.it/articoli/43...-antichi-Romani

http://www.archeoempoli.it/anticaroma1.htm

Edited by KyrosMa - 18/6/2009, 22:01
 
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