I Porti nell'Antica Roma

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KyrosMa
view post Posted on 2/11/2009, 21:36




Descrizione generale


Una prima classificazione riguarda la distinzione tra porti veri e propri (portus) e approdi naturali (plagia), i primi dotati di infrastrutture di servizio e di protezione, i secondi dislocati su tratti di costa dove le condizioni naturali si presentavano particolarmente favorevoli per il riparo e il rifornimento delle navi.

Da un punto di vista urbanistico i primi impianti portuali nascevano e si sviluppavano il più delle volte in assoluta vicinanza e contiguità delle città; altre volte rappresentavano soltanto l’approdo ad un santuario famoso, o lo scalo commerciale diuna vasta zona retrostante, e la città si sviluppava accanto ad essi in un secondo tempo; altre volte infine, quando la città per ragioni di sicurezza o di difesa,sorgeva o si estendeva entro terra, a non grande distanza dal mare, il porto veniva realizzato sulla costa ad essa più vicina. Il porto rappresentava allora un’appendice della città: un elemento integrato e distaccato al tempo stesso,quello che i Greci chiamavano "epineion”.

Dall’età classica (V-IV sec.a.C.) lo sviluppo delle città e della navigazione,mentre accresceva i bisogni dei porti, li arricchiva di elementi caratterizzanti e di attrezzature in particolare,l’ emporio per il commercio e l’arsenale per la costruzione, il ricovero e la manutenzione dei navigli, soprattutto da guerra. Tale incremento di funz/ioni del porto attribuì importanza vitale agli impianti portuali che vennero chiusi entro le mura della città stessa: si ebbe così quello che i Greci chiamarono “porto chiuso” (limen cleistos).

Le infrastrutture dei porti come moli, banchine e ormeggi assunsero allora un carattere e una funzione non solo marittima, ma anche militare.Con il perfezionamento della tecnica costruttiva ad opera dei Romani, che permise loro di svincolarsi da ogni legame determinato dalle condizioni naturali del sito, i porti poterono essere costruiti ora anche del tutto o quasi del tutto artificialmente. I Romani, infatti, rielaborarono e utilizzarono tutte le tecniche costruttive portuali precedenti, introducendone una del tutto rivoluzionaria: la costruzione di strutture monolitiche subacquee attraverso l’utilizzo dell’ opus caementicium. Tale innovazione tecnologica permise loro di realizzare dighe solide di geometria variabile, anche curvilinea, a difesa di porti totalmente esterni.

Oggi, sulle coste del Mediterraneo si possono ripercorrere e riconoscere numerose tracce di questa eredità, alcune delle quali sommerse o semisommerse; altre, invece, rioccupate e trasformate in età tardoantica, medioevale, rinascimentale, ancora utilizzate.Tra le istallazioni portuali romane, una delle più rappresentative della capacità tecnica dei Romani è certamente quella di Pozzuoli, l’antica Puteoli.

La buona posizione geografica e la vicinanza con Roma, permisero alla città flegrea di diventare, nel giro di pochi anni, il principale porto di Roma, tappa obbligata delle merci provenienti dall’Oriente e, successivamente, dai mercati occidentali. Ai piedi dell’attuale Rione Terra il porto si divideva in due parti: a sud, i bacini, dove ancora oggi con mare calmo e limpido si intravedono i resti sommersi di una doppia fila di pilae che dovevano servire da strutture frangiflutti e, a nord, lo scalo vero e proprio, l’emporium (costituito da magazzini per lo stoccaggio,i mercati ,ma anche taverne), delimitato dal mare aperto e protetto contro i venti di scirocco dal cosiddetto molo “caligoliano”.Tale struttura era costituita da almeno quindici pilastri (pilae) costruiti in opera a getto cementata con la pozzolana ( all'interno erano presentavano mattoni e piccole pietre di tufo amalgamate nel cementizio o solo tufo e cementizio e collegati da arcate( gli archi sono costruiti col medesimo materiale adoperato per i piloni salvo negli archivolti essendo fatti di mattoni grandi ); la larghezza del molo era di circa 15 metri e la lunghezza complessiva di 372 metri. La struttura si concludeva con un arco di trionfo e forse un faro, così come viene rappresentato nell’iconografia antica.



TECNICHE COSTRUTTIVE


Le tecniche costruttive ci vengono narrate da Vitruvuio ;le infrastrutture portuali. potevano essere costruite in tre “modi” fondamentali.Logicamente le maestranze si scontravano con problemi di natura diverse a seconda dei luoghi in cui si trovavano ad operare; si adattavano un po’ al contesto, logicamente.

Egli descrive la tecnica dell’impasto delle malte idrauliche, ottenute mediante l’impiego della calce mescolata con la pozzolana invece che con la sabbia.
La qualità dell’impasto era dovuta all’utilizzo della pozzolana, pulvis puteolanus,d’origine vulcanica tipico dei Campi flegrei (ma anche della'rea tra cuma e sorrento)

1) Cassaforma mondata

Un primo tipo di cassaforma per malta idraulica veniva costruita direttamente in acqua: il procedimento di costruzione iniziava con l’infissione nel fondale di pali verticali (destinae) con la funzione di ancorare la struttura al fondomarino e di sostenerla. Successivamente,a questi pali verticali venivano collegate travi trasversali (catenae), che avevano la funzione di contenere le spinte esercitate dall’interno all’esterno della cassaforma dall’opera cementizia fresca.Quindi, lungo il perimetro esterno a questa tessitura di travi venivano montati i tavolati che costituivano le pareti della cassaforma (arca). Questi erano collegati alle catenae e sostenuti dall’esterno da pali di quercia conficcati nel fondale (stipites). Una volta terminatala costruzione dell’arca, l’opera cementizia composto di pietre, calce e pozzolana,direttamente in acqua.vi veniva gettata all’interno, direttamente a contatto delle pareti, fatto che è confermato dalle impronte delle assi che si notano sui resti archeologici sommersi.Questo sistema permetteva l’esecuzione modulare di casseforme accostate.


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Riporto la traduzione degli scritti di Vitruvio

Trad.: Quindi, in quel punto stabilito, si debbono affondare e bloccare con sicurezza delle casseforme tenute insieme da montanti di quercia e tiranti trasversali; poi, nel vano interno, [lavorando] dalle traversine si deve livellare e pulire il fondale e gettare la malta, preparata come è spiegato sopra, mischiata al pezzame di pietra, fino a che lo spazio tra le paratie non sia riempito di calcestruzzo



2) Cassaforma stagnata

In assenza di pozzolana, Vitruvio prescrive il secondo “modo”, la cassa-forma stagnata, realizzata da pareti con doppia paratia con l’intercapedine riempita di argilla costipata in panieri fatti di alghe di palude. Prima di introdurre la malta, la cassaforma doveva essere svuotata dall’acqua mediante una coclee (= vite di Archimede) e ruote acquarie, e si lasciava asciugare per quanto possibile. Poi si scavavano le fondazioni e si riempiva il tutto con un conglomerato di sabbia e calce.È questo un metodo che, piuttosto che a lunghe murature continue come i moli, meglio si adattava alla costruzione di pilae.

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Trad. In quei luoghi invece, in cui non si trova la pozzolana, si dovrà seguire questo procedimento: nel punto che si sarà delimitato si impiantino delle paratie a doppia parete, tenute insieme da tavole riportate e traverse, e tra i montanti [interni alle paratie] si incalchi dell'argilla [confezionata] in panieri fatti d'alga di palude. Quando l'argilla sarà compressa al massimo, allora con pompe a vite, ruote e tamburi acquari [lì] installati si svuoti e asciughi lo spazio circoscritto con questo recinto stagno, e tra le paratie si scavino le fondazioni.


3) Costruzione a "blocchi prefabbricati"

Il terzo tipo di cassaforma descritto da Vitruvio prevedeva la costruzione di un blocco prefabbricato da far cadere in mare direttamente dalla terraferma o dal limitare delle banchine, per determinarne l’avanzamento in acqua. Tale metodo non è stato però archeologicamente documentato.

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Trad. Qualora invece, per via delle onde e della forza del mare aperto, le palificate non avessero potuto trattenere le casseforme, allora dalla terraferma o dalla banchina si costruisca quanto più solidamente possibile un basamento; questo basamento si costruisca in modo che abbia una superficie, per meno della metà in piano, e il resto, la parte verso la spiaggia, inclinata. Quindi, sul fronte a mare e sui lati si costruiscano al basamento degli argini, allo stesso livello della superficie in piano descritta sopra, larghi circa un piede e mezzo; poi l'inclinazione sia riportata con della sabbia alla quota dell'argine e del piano del basamento. Quindi sopra questo piano si costruisca un blocco, grande quanto si sarà stabilito; quando sarà pronto, lo si lasci a tirare per almeno due mesi. Allora si demolisca l'argine che contiene la sabbia; in questo modo la sabbia, dilavata dalle onde, provocherà la caduta in mare del blocco. Con questo sistema, ogni volta che servirà si potrà ottenere un avanzamento in mare.


Dagli studi archeologici emerge che molto varie erano le tipologie degli impianti in cui si riscontrano l’utilizzo integrato di diverse tecniche. L’uso estensivo dell’opus caementicium non comportò, infatti, l’abbandono delle strutture in blocchi di pietra tipiche delle opere portuali greche; tali strutture rafforzate dall’utilizzo della malta furono ampiamente impiegate per la costruzione del porto di Leptis Magna sulle coste della Libia; altre volte, invece, venivano costruite delle casseforme in blocchi di pietra riempite con gettate cementizie,di tale tecnica si è trovato riscontro in diversi restauri condotti dai Romani in strutture portuali greche. In altre occasioni,se la condizione del sito lo consentiva,gli impianti portuali venivano scavati direttamente in banchi rocciosi:il porto di Ventotene ne rappresenta l’esempio più riuscito.
Non mancano, infine, strutture costruite totalmente in legno, in ambiente fluviale e lacustre; infatti, venivano realizzate casseforme lignee riempite di terra e detriti. Di queste ne è stata individuatauna durante gli scavi del porto di Marsiglia in Francia. Le opere incementizio rimangono comunque le più utilizzate grazie alla facilità di assemblaggio delle casseforme lignee che garantivano versatilità di esecuzione e modularità:
appoggiandosi a strutture già solide si potevano adoperare casseforme con solo tre o due lati, a volte anche conuna sola parete; tale circostanza permetteva di procedere in modo progressivo alla costruzione dei moli, secondo moduli che le indagini archeologiche hanno facilmente individuato.



Qualche termine

Un Porto è una struttura naturale o artificiale posta sul litorale marittimo o sulla riva di un lago o di un corso d'acqua, atta a consentire l'approdo, l'ormeggio e la protezione dalle avverse condizioni del mare ai mezzi marittimi. Ha pure la funzione di consentire e facilitare il carico e lo scarico di merci e l'imbarco e lo sbarco di persone.

Il Molo è una costruzione situata su un oceano, un mare, un lago, o un fiume, che si protende dalla terraferma verso lo specchio acqueo, la cui principale funzione è quella di fungere da ormeggio alle imbarcazioni per consentire la discesa sulla terraferma dei passeggeri e lo scarico delle merci al riparo del moto ondoso.

Possiamo distinguere moli esterni, in genere protetti da blocchi di cemento o da grandi pietre frangiflutti sul lato verso il mare, per proteggere l'interno dalle onde. La protezione può essere fornita in alternativa da una diga foranea. I moli interni e le banchine per attraccare le navi e consentire di salire e scendere o caricare e scaricare.

La Banchina portuale è quella parte del porto o della rada prospiciente all'acqua che permette di accostare in sicurezza alla terraferma navi o natanti e fissarli in modo da poter consentire l'imbarco e lo sbarco delle persone o il carico e scarico delle merci al riparo del moto ondoso. Può essere realizzata in cemento armato, in legno o più raramente galleggiante in vetroresina o in ferro (pontoni o pontili). Per consentire l'ormeggio, la banchina è attrezzata con bitte* ,anelli di ormeggio** ed a volte parabordi** . Naturalmente a quei tempi non c'era la vetroresina ma ho riportato tutto per completezza ;)

Il Faro è una struttura, in genere una torre, di varia complessità tecnologica che ha lo scopo di segnalare ai naviganti l'esistenza di un ostacolo o di un rischio per mezzo di segnali luminosi.

Il nome deriva dall'isola di Pharos, di fronte ad Alessandria d'Egitto, dove nel III secolo a.C. era stata costruita una torre sulla quale ardeva costantemente un gran fuoco, in modo che i naviganti su quei fondali potessero districarsi dalla retrostante palude Mareotide.

L'uso di accendere fuochi in un punto prominente della costa, ad indicare ai naviganti punti critici (o anche punti d'approdo), è comunque intuitivo e di certo anteriore al faro di Alessandria. E siccome è assai antico, i fari antichi venivano dedicati agli Dei, che erano considerati gli artefici finali e gli unici veri garanti della salvezza dei marinai.
I segnali emessi erano in origine esclusivamente luminosi, e stabili. L'applicazione di uno specchio (e poi di una lente) alla fonte luminosa, in modo da estendere la portata luminosa del manufatto, fu per lungo tempo la sua unica evoluzione sostanziale.


FONTI

http://www.fondali.it/articoli/page.asp?articolo=161

http://www.fondali.it/articoli/page.asp?articolo=151

http://www.aising.it/docs/ATTI%20II%20CONVEGNO/0431-0440.pdf

http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_(struttura)

* https://digilander.libero.it/hunter18/Album...Large/BITTA.jpg

** http://www.pontili-adragna.com/img/accessori_anello.jpg

*** http://www.avventuramare.eu/images/parabor...41categoria.jpg
 
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